Vademecum – Guida per aprire centri antiviolenza e case rifugio

Aprire centri antiviolenza e case rifugio

In questa sezione è presente la Guida per aprire centri antiviolenza e case rifugio.Tutte le risposte ai quesiti su cosa sono e come si aprono centri antiviolenza, le case rifugio e le normative che le regolano.

Guida

Premesse e quadro normativo

I centri antiviolenza e le case rifugio hanno ricevuto una disciplina normativa nel 2014 con la Legge 27.06.2013 n.77 di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica siglata ad Istanbul l’11.05.2011 definita: “una violazione dei diritti umani, […] una forma di discriminazione contro le donne e comprende tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che privata.” (Convenzione di Istanbul, art. 3, lettera a).

L’articolo 7 della Convenzione richiede agli Stati aderenti “l’adozione di misure legislative e di altro tipo necessarie per predisporre e attuare politiche nazionali efficaci, globali e coordinate, comprendenti tutte le misure adeguate destinate a prevenire e combattere ogni forma di violenza” (Convenzione di Istanbul, art. 5, comma 2) al fine di fornire una risposta globale alla violenza contro le donne.

Violenza di genere

Con il termine di violenza di genere si indicano le diverse forme di violenza agite contro le donne, tanto ciò risponde al vero che le stesse Nazioni Unite la definiscono come “ogni atto legato alla differenza di sesso che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale, psicologico o una sofferenza della donna, compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o l’arbitraria privazione della libertà sia nella vita pubblica che nella vita privata” (Art. 1, Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne).

Convenzione di Istanbul

La Convenzione di Istanbul è stata ratificata dall’Italia con Legge 2706.2013, n.77, ed è entrata in vigore il 1° agosto 2014. A seguito della ratifica della Convenzione di Istanbul, lo Stato Italiano, ha approvato la Legge 15 ottobre 2013, n. 119 (la famosa legge sul c.d. femminicidio) con la quale sono state introdotte nuove norme in materia di maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori attraverso modifiche al Codice penale e al Codice di procedura penale, nuove misure di prevenzione per condotte di violenza domestica, nuove disposizioni relative alla tutela per gli stranieri vittime di violenza domestica.

Legge 119/2013

La Legge 119/2013, inoltre, agli art. 5 e 5bis introduce il vincolo di redazione di un Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere e le azioni per il potenziamento delle forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei Centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle vittime stabilendo anche le modalità per individuare le risorse finanziarie necessarie per gli anni 2013, 2014 e 2015 a valere sul Fondo per le politiche ai diritti e alle Pari Opportunità.

Con il D.P.C.M. (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) 24.07.2014, invece, vengono definiti i criteri per suddividere le risorse alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, per gli anni 2013 e 2014, rinviando a successiva Intesa, da sancire in sede di Conferenza Unificata, la definizione dei requisiti minimi necessari per i Centri antiviolenza e le Case rifugio al fine, anche, di accedere al riparto delle risorse finanziarie di cui alla legge del 15 ottobre 2013, n. 119.

A tal proposito l’A.N.C.I. (Associazione Nazionale Comuni Italiani) il 20.03.2014 ha elaborato delle Linee Guida per l’intervento e la costruzione di rete tra i Servizi Sociali dei Comuni e i Centri Antiviolenza. Dall’esame del documento, peraltro realizzato con un protocollo d’intesa con il D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza coordinato da centri antiviolenza che ricevono sovvenzioni statali da anni, vengono fornite indicazioni a senso unico come se esistesse solo un tipo di violenza: quella nei confronti delle donne.

Con il D.P.C.M. 7.07.2015 viene adottato il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, per realizzare un sistema integrato di politiche pubbliche e l’avvio di un programma di prevenzione ed emersione ponendo al centro le politiche inerenti all’educazione, la comunicazione e la formazione che divengono elementi importanti in affiancamento alle politiche praticate.

Con il D. Lgs. 15.12.2015 n.212 (Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25.10.2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI), invece, vengono ampliate le tutele ed i diritti di informazione di tutte le vittime di reato, con particolare riguardo alla persona offesa dal reato.

Circolare INPS

Anche l’INPS è intervenuta nel 2016 sul tema del contrasto alla violenza contro le donne con una circolare, la Circolare I.N.P.S. 15.04.2016 n. 65, con la quale ha previsto l’introduzione di un congedo indennizzato per le donne vittime di violenza di genere. La circolare fornisce le istruzioni in ordine al congedo di 3 mesi riconosciuto alle lavoratrici dipendenti che siano state vittime di violenza di genere e che siano state inserite in percorsi certificati presso servizi sociali, centri antiviolenza o case rifugio.

Le lavoratrici dipendenti del settore privato, incluse le lavoratrici per le quali non è prevista l’assicurazione per le prestazioni previdenziali di maternità erogate dall’INPS, hanno diritto al congedo per violenza di genere a condizione che: risultino titolari di rapporto di lavoro in corso di svolgimento con obbligo di prestare l’attività lavorativa (il congedo in questione infatti è fruibile in coincidenza di giornate di prevista attività lavorativa); siano inserite nei percorsi certificati dai servizi sociali del Comune di appartenenza, dai Centri antiviolenza o dalle Case Rifugio di cui all’articolo 5- bis, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119.

Il congedo può essere fruito su base giornaliera o oraria, secondo quanto previsto dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La modalità oraria consente alla lavoratrice di astenersi dall’attività lavorativa per un numero di ore pari alla metà dell’orario medio giornaliero (contrattuale) del periodo di paga quadri settimanale o mensile scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo (comma 5 dell’art. 24 cit.). Quindi, ad esempio, se l’orario medio giornaliero del mese precedente è pari ad 8 ore, l’assenza oraria nella giornata di lavoro deve essere pari a 4 ore, a prescindere dall’articolazione settimanale dell’orario di lavoro.

Centri antiviolenza e case rifugio

L’importanza delle strutture territoriali di accoglienza (Centri antiviolenza e case rifugio) è stata ulteriormente confermata dal Pano Strategico Nazionale sulla Violenza Maschile contro le Donne 2017 2020, in cui si evidenzia la necessità di una mappatura dei centri e l’omogeneità delle metodologie da attuare nonché dal D.P.C.M. 24.11.2017, inerente le Linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza. Tale decreto è di estrema importanza in quanto, oltre al prevedere un percorso rosa di precedenza per le donne vittime di violenza domestica o di genere, prevede un collegamento diretto tra il pronto soccorso dell’ospedale ed i centri antiviolenza e le case rifugio presenti sul territorio. Il personale sanitario ha “l’obbligo di informare” la vittima di violenza della possibilità di rivolgersi ad alcuni centri antiviolenza o case rifugio, eventualmente prendendo direttamente contatto con i medesimi.

Sgravi contributivi

Nel 2018, invece, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato il Decreto 11.05.2018 con il quale vengono previsti degli sgravi contributivi per l’assunzione delle donne vittime di violenza di genere. Con tale decreto viene previsto che chiunque assuma donne vittime di violenza di genere, inserite nei percorsi di protezione, debitamente certificati dai centri di servizi sociali del comune di residenza o dai centri anti-violenza o dalle case-rifugio di cui all’art.5-bis del D.L., n. 93/2013, convertito, con modificazioni, dalla Legge n.119/2013, è riconosciuto l’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico delle cooperative medesime, con esclusione dei premi e contributi all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) nel limite massimo di importo pari a 350 euro su base mensile.

Alcune statistiche

La Commissione europea per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, già il 31 gennaio 2014, presentò una relazione dal quale emerse che il 20-25% delle donne in Europa aveva subito atti di violenza fisica almeno una volta nel corso della propria vita adulta ed oltre il 10% era stata vittima di atti di violenza sessuale con uso della forza. Il 45% delle donne, dati sempre del 31.01.2014, avevano subito diverse forma di persecuzione; il 12-15% delle donne in Europa risultava essere stata vittima di violenza domestica che, nell’Unione europea, causa ogni giorno la morte di sette donne. In Italia, purtroppo, tra il 1° agosto 2017 e il 31 luglio 2018 in Italia si sono verificati 120 femminicidi e 92 di questi sono avvenuti in ambito familiare o affettivo per mano del partner, dell’ex partner o di un altro familiare.

Negli ultimi 10 anni i reati di violenza sessuale denunciati sono stati 48.377 e in oltre il 90% dei casi la vittima era una donna. Nei primi otto mesi del 2018, ci sono state 2.977 violenze sessuali denunciate e 10.204 denunce per maltrattamenti in famiglia, 8.718 denunce per percosse e 8.414 denunce per stalking. Questi sono i dati pubblicati dal Censis, che ha sottolineato che c’è un dato positivo, nell’ultimo anno tutti questi reati tendono a diminuire, mentre aumentano le donne che si rivolgono alla rete dei centri antiviolenza: 49.152 nel 2017, con 29.227 donne prese in carico dagli stessi centri.

Questa introduzione sulle norme che disciplinano i centri antiviolenza e le case rifugio, serve per comprendere come sia imprescindibile l’adozione di procedure e linee guida standardizzate per ogni struttura dedicata all’accoglienza e al supporto delle donne vittime di violenza e dei/delle loro figli/e minori. Infatti, da un’indagine su tali strutture a livello nazionale è emerso che le strutture antiviolenza con modalità e criteri di funzionamento non omogenei e con una diversa definizione tipologica di struttura, comportano danni per le vittime, in particolare:

  1. discontinuità di interventi;
  2. disomogeneità di distribuzione sui territori regionali dei servizi di presa in carico delle donne vittime di violenza;
  3. diverse modalità di azione dei soggetti che gestiscono le strutture di accoglienza;
  4. metodologie diverse di contatto e accoglienza delle vittime di violenza;
  5. mancanza o diversa struttura organizzativa delle reti dei Centri antiviolenza e delle reti territoriali.

Accreditamento regionale

Per le Case rifugio, inoltre, trattandosi di strutture residenziali, necessitano di un accreditamento regionale con un’apposita autorizzazione per l’apertura ed il funzionamento di strutture che prestano servizi socioassistenziali.

Dall’esame dei provvedimenti e documenti sopra citati emerge che i centri e gli sportelli antiviolenza, nonché le case rifugio, sono diventati il fulcro dell’attività volta all’assistenza delle donne vittime di violenza domestica e di genere in collaborazione con i Servizi Sociali, le ASL, i Comuni, le Province, le Regioni.

Ma quando questo tipo di collaborazione, per svariate motivazioni, non può realizzarsi come è possibile operare?

Per ovviare a tale impedimento, a febbraio 2018 E.N.A.C. e C.S.IN. Onlus hanno lanciato la campagna di sensibilizzazione Nessuna Violenza Dentro Casa, contro la violenza domestica e di genere, finalizzata alla nascita di un Coordinamento Nazionale de Centri Antiviolenza in rete per fornire delle procedure standardizzate da attuare in ogni struttura.

È stata effettuata la presentazione del progetto nonché la realizzazione di un manifesto di adesione con il quale i centri antiviolenza possono aderire al coordinamento ed affiliarsi all’E.N.A.C. in modo da poter anche risolvere problematiche relative alle autorizzazioni necessarie per lo svolgimento dell’attività associativa.

Il presente vademecum vuole fornire risposte a tali quesiti e consegnare al responsabile del centro antiviolenza e/o della casa rifugio, una guida per districarsi tra diverse norme nazionali e regionali che possono confondere e disarmare il professionista ed in cui può trovare le modalità per operare all’interno del coordinamento nazionale dei centri antiviolenza in rete dell’E.N.A.C. e del C.S.IN. Onlus.

Guida per aprire centri antiviolenza e case rifugio

Cosa sono i centri antiviolenza? Con quale forma giuridica devono essere costititi? quali requisiti devono avere le associazioni e le organizzazioni per promuovere un centro antiviolenza?

Allegati:

MANIFESTO PER ADERIRE AL COORDINAMENTO NAZIONALE CENTRI ANTIVIOLENZA

scheda richiesta aiuto

Una volta che l’associazione aderisce al coordinamento nazionale dei centri antiviolenza riceverà il “Questionario valutazione vittime/utenti” realizzato da C.S.IN. Onlus ed E.N.A.C..

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